Le imprese civili protagoniste di un nuovo modello di sviluppo

Cambiare le cose, cambiando il modo di guardare le cose. Ospite di Cooling Break, Sabrina Bonomi, co-fondatrice della Scuola di Economia Civile e docente di Organizzazione aziendale all’Università eCampus, ha parlato di imprese civili e di come le aziende sono chiamate a reagire dopo la crisi – non solo economica ma anche sociale e ambientale – causata dalla pandemia.

Professoressa Bonomi, cosa vuole dire per un’impresa essere civile?

“Le imprese civili sono quelle organizzazioni che ogni giorno si impegnano per tenere in armonia i valori di fondo, quelli su cui si basa la loro cultura organizzativa, con la mission e la vision aziendali, il tutto con comportamenti coerenti. La coerenza è un aspetto molto importante, perché nel medio lungo periodo emergono le conseguenze del proprio agire e la capacità di essere resilienti. Credo che le imprese civili non siano perfette, ma siano capaci di ridurre la distanza tra quello che dichiarano e quello che fanno”.

Per ripartire dalla crisi pandemica alcune imprese si sono chiuse a riccio. La sensazione è che ci sia bisogno di qualcosa di diverso: come le aziende, dalle più piccole alle più strutturate, devono riprendere a correre?

“Questa è una crisi non solo sociale, ma anche ambientale. Oggi la sostenibilità è una necessità per continuare a svilupparsi, non è più possibile un futuro se non ci si preoccupa di mettere insieme economia con attenzione al sociale e all’ambiente. La imprese non possono risolvere un problema complesso con una dimensione settoriale e di certo non da sole. Le imprese per natura non hanno mai avuto un obiettivo soltanto economico, il fine ultimo dell’impresa è creare valore per tutti gli stakeholder. È importante che le imprese lavorino con non profit e enti pubblici, ciascuno facendo la sua parte, e, in una logica di sussidiarietà circolare, si aiutino l’un l’altro per affrontare la complessità del nostro tempo”.

Ci sono degli esempi di reti tra imprese e società civile o terzo settore che stanno venendo fuori da questo momento così complicato?

“Ce ne sono tanti. Su tutti, le maschere usate per snorkeling trasformate in respiratori, start up che hanno ingegnerizzato le valvole, l’impresa produttrice che le ha messe insieme, gli enti pubblici che hanno organizzato la distribuzione e il terzo settore che hanno creato gli spazi di pre-triage. Oppure aziende produttrici di vernici che, nel momento in cui l’edilizia ha subito un rallentamento, si sono reindirizzate verso la produzione di detergenti, con il coinvolgimento di centri di ricerca e enti del terzo settore, che hanno collaborato nella distribuzione, facendo lavorare persone che stavano assistendo, nella logica dell’economia civile che riconosce che in ogni portatore di bisogni c’è anche un portatore di risorse”.

Quanto c’è bisogno di formazione per fare in modo che le imprese trovino la capacità di riorganizzarsi e, soprattutto pensando ai lavoratori più svantaggiati, di trovare un nuovo modello?

“Il lavoro deve esserci e deve esserci per tutti. Tutti devono avere l’opportunità di mettersi all’opera, perché il lavoro ci dà dignità. Ognuno di noi ha delle risorse da mettere in circolazione, è importante, quando si fa innovazione, tenere conto di come si possono coinvolgere le persone per quanto ciascuno può dare. L’innovazione è necessaria, e può essere adattiva o proattiva. Credo che in questo ci sia una responsabilità di chi vede questo cambiamento, ad esempio le imprese, che possono davvero essere agenti del cambiamento e tenere conto di quello che c’è davvero bisogno. In questo momento è importante trasformarsi non solo dal punto di vista dei prodotti e dei processi ma anche del come facciamo le cose e tener conto di alcuni elementi come il beneficio comune”.

Un numero sempre maggiore di aziende sta diventando società benefit, cosa significa?

“Le società benefit scelgono di perseguire uno scopo di bene comune, parallelamente all’esercizio della loro attività economica. La loro forza è di metterlo nello statuto, perché implica prendersi un impegno, dichiarare che cosa si vuole ottenere, misurarlo e puntare al miglioramento continuo. L’aumento del numero di società benefit di questo ultimo anno è significativo e non casuale: in tanti avevano già la sensibilità, ma hanno scelto di dare una testimonianza, diventando una fonte di speranza”.

Come mai il modello di economia civile fatica ad uscire e a diventare mainstream?

“L’economia di per sé è civile, lo era dal principio, non dovrebbe essere sorprendente, anche se nel tempo i pensieri si distorcono e si persegue quello che all’apparenza è più facile o che ci garantisce vantaggi immediati. Oggi non possiamo che renderci conto che serva cambiare paradigma, perché quello seguito finora ci ha portato disuguaglianze e problemi. Penso ci siano più persone civili e organizzazioni civili, perché chi è impegnato a fare il bene pensa sia sufficiente, invece è necessario anche raccontarlo. Forse ancora non è mainstream, ma l’economia civile non è nemmeno una nicchia e questo ci deve dare coraggio. Tanti imprenditori sono straordinari, è arrivato il momento di portarli alla luce per dare impulso a un nuovo sviluppo”.