La risposta è nell’economia civile

Stefano Zamagni è un grande amico di ‘E tu cosa fai’, ma soprattutto è un economista molto noto e apprezzato, fondatore della Scuola di Economia Civile e presidente della Pontificia Accademia per le Scienze Sociali. Ha scritto molte pubblicazioni, insegna a Bologna e alla John Hopkins University. È stato nostro ospite a ‘Cooling Break’, ecco l’intervista.

 

Professor Zamagni, la pandemia ci ha mostrato i limiti del modello economico classico. L’economia civile può essere una risposta?

Attualmente due sono i paradigmi dominanti, quello dell’economia politica e quello dell’economia civile. Il paradigma è un particolare sguardo sulla realtà. Quello dell’economia civile nasce a Napoli, nel 1753 con Genovesi e con la prima cattedra al mondo di economia, qualche anno prima di quella politica che nasce in Scozia nel 1776 con Adam Smith. I due paradigmi hanno molto in comune, ma è vero che questa pandemia sta mostrando i limiti intrinseci all’economia politica. Il primo ha a che vedere con l’assunto antropologico: l’economia politica è basata sull’assunto dell’homo oeconomicus, ovvero su un soggetto che opera per perseguire proprio interesse in maniera razionale, e poi la cosiddetta ‘mano invisibile’ metterà in collegamento gli auto interessi delle persone con il bene collettivo. Il paradigma dell’economia civile parte da un altro assunto antropologico, come teorizzato da Antonio Genovesi: homo homini natura amicus, ovvero ogni uomo è per natura amico di un altro uomo, contro l’assunto di Hobbes homo homini lupus. La seconda grande differenza riguarda il fine: quello dell’economia politica è la massimizzazione del bene totale, quello dell’economia civile è la massimizzazione del bene comune. Ad esempio la salute è un bene comune, non un bene pubblico, ed è evidente che una certa gestione non è adatta a raggiungere gli obiettivi, e lo abbiamo visto bene in questa pandemia. L’ultima differenza è che, mentre nel modello dell’economia politica l’ordine sociale è basato su due pilastri lo Stato e il mercato, per la prospettiva dell’economia i pilastri sono tre, Stato, mercato, comunità, questo è il punto determinante. Per l’economista politico o fa lo Stato o la fa il mercato, per quello civile Stato e mercato non sono sufficienti, occorre mettere in campo le espressioni della società civile organizzata. Nel pilastro delle comunità rientrano gli enti che chiamiamo di terzo settore, che esprimono il principio di sussidiarietà senza cui gli altri principi di solidarietà e di libertà sono monchi. Basta ricordare che negli ultimi 40 anni, nonostante lo Stato e il mercato, le disuguaglianze sono aumentate in maniera scandalosa. Bisognerà pur chiedersi come mai è successo questo. Questa economia civile serve a scuotere tante certezze.

 

Il terzo settore è stato il grande assente nel dibattito e nelle scelte di questi mesi di pandemia?

È vero, questo confermo quanto dicevo. Il terzo settore è stato la ruota di scorta, anzi i servi che devono portare l’acqua. Non è stato assente nella realtà, ma nei processi decisionali e questa è un’autentica vergogna. E mi meraviglio che non si sia ancora capito. Sappiamo benissimo che chi materialmente dà un aiuto sono i volontari, le cooperative sociali, le imprese sociali, le fondazioni… e tutti questi elementi non vengono nemmeno consultati. Ecco perché il fatto che Draghi lo stia tenendo presente è una novità. L’averli ricevuti a palazzo Chigi è importante. Molte vite e molti soldi si sarebbero risparmiate se non ci fosse stata questa verticalizzazione del potere per cui bastava la cabina di regia centralizzata. Come stiamo vedendo i nodi sono arrivati al pettine e ci si rende conto dell’inadeguatezza di questo modo di concepire ordine sociale e l’azione politica.

 

Quali aspettative ha sul Governo Draghi e cosa ne pensa del ministero per la Transizione ecologica?

Si tratta di una novità di rilievo. Avere un ministero che si occupa esplicitamente della transizione ecologica vuol dire prendere sul serio quella decisione che è stata presa in sede europea. Indipendentemente dai nomi ormai tutti sanno quale è la linea: un processo di forte deburocratizzazione, oggi la burocrazia è una autentica palla al piede del Paese; cambiare filosofia del nostro sistema fiscale, che colpisce molto di più il lavoro che il capitale e soprattutto molto di più il lavoro della rendita (un terzo del Pil è fatto di rendita, ed è in proporzione molto meno tassata); dare uno scossone al sistema scolastico e universitario, questo sistema va trasformato non riformato, bisogna cambiare l’impianto e rendere scuola e università luoghi di educazione. Non si può parlare di alternanza scuola-lavoro, bisogna parlare di convergenza scuola-lavoro.

 

Il piano Next Generation Ue, o come si dice Recovery Plan, è l’ultima spiaggia per il nostro Paese?

Non mi piace l’espressione ultima spiaggia, c’è sempre qualcosa da fare. È importante che il nostro Paese presenti a Bruxelles un piano vero e proprio, trasformando il progetto fin qui avanzato che è valido ma non è ancora un piano. E poi bisogna dare a questo documento una visione. È importante perché se perdiamo questa opportunità gli altri paesi potrebbero dire ‘ancora una volta gli italiani hanno fatto i gigioni’. Ci è stata data un’apertura di credito che va presa in seria considerazione, altrimenti il rischio di finire come la Grecia c’è. Ma sono ottimista, con questo governo la capacità di recupero, tipica dell’Italia, sarà confermata. Pensiamo solo al miracolo italiano del dopoguerra, nemmeno la Germania ci riuscì. Ho molta fiducia nel popolo italiano, conosco le sue radici filosofiche e per questo ho speranza. La speranza poggia sulla certezza che il futuro non è un dato immodificabile ma è un compito, e se è un compito qualcuno lo deve svolgere.

 

Cosa ci faceva in videochiamata con New York questo pomeriggio prima della nostra intervista?

Ero in collegamento con il Fondo monetario internazionale sta cercando di capire cos’è l’economia civile. Con me c’era l’economista indiano Raghuram Rajan, noto per aver scritto il libro ‘Stato mercato, comunità’. Quando gli è stato detto che questo modello è l’idea tipica dell’economia civile ha deciso di volerne discutere.